L’arte di combattere senza combattere
L’arte di combattere senza combattere rievoca sicuramente, negli appassionati di film sulle arti marziali, la figura di Bruce Lee. Tuttavia, non tutti sanno che la simpatica scena del film “I tre dell’operazione drago” (Enter the dragon) in realtà è un omaggio di Lee a un racconto, a metà strada tra la storia e il mito, che vede come protagonista uno dei samurai più famosi della tradizione giapponese: Tsukahara Bokuden. Prima di vedere insieme il racconto, introduciamo questo abile spadaccino.
Tsukahara Bokuden impara a combattere
Tsukahara Bokuden nacque probabilmente nel 1489 e morì il 6 Marzo del 1571, all’età di 82 anni. La lunghezza della sua vita, considerando che di mestiere era appunto uno spadaccino, ci dona un primo indizio sulla sua abilità con la spada. Infatti, non a caso a Bokuden è riconosciuto il titolo di Kensei (Santo Spadaccino). Per ottenerlo, un samurai non deve solo diventare famoso per la sua abilità con la spada, ma anche e soprattutto per la sua levatura etica, morale e spirituale. Inizialmente istruito da suo padre nello stile Tenshin Shōden Katori Shintō-ryū, Bokuden intraprese successivamente il Musha Shugyō: un pellegrinaggio di studio e ricerca interiore che prevedeva di viaggiare in solitaria per il giappone. Durante il viaggio il pellegrino avrebbe dovuto studiare nelle varie scuole lungo il cammino, sfidare i vari maestri di spada incontrati e offrire protezione e aiuto alla popolazione.
Tsukahara Bokuden evita di combattere
Avanzando con l’età Tsukahara Bokuden, sempre più famoso, si ritrovò ad essere spesso sfidato da diversi giovani spadaccini in cerca di notorietà, puntualmente da lui sconfitti. Forse anche per questo maturò delle idee ben diverse e si specializzò nell’evitare lo scontro il più possibile. Ancora una volta ci viene insegnato, da grandi maestri del passato, che chi conosce davvero il combattimento, fa qualsiasi cosa per evitarlo; anche e soprattutto quando la probabilità di vittoria è alta. Per questo motivo, iniziò a proclamarsi praticante di “Mutekatsuryuu” (無手勝流), uno stile che tradotto significa “Vincere senza combattere”. Il vero guerriero non sarebbe più stato colui che vince estraendo la spada, ma colui che evita situazioni pericolose prima che queste si verifichino.
Combattere senza combattere: Tsukahara Bokuden nel lago Biwa
Veniamo ora al racconto in questione, presente nel Kōyō Gunkan, un testo di strategia militare giapponese. La versione che riportiamo è tratta da L’arte della guerra e della strategia di Leonardo Vittorio Arena [1]:
Bokuden, un giorno, si trovò a traversare lo stupendo lago Biwa. Sulla barca, tra gli altri passeggeri c’era un samurai arrogante e presuntuoso, che godeva nel maltrattare gli altri.
Era temuto da tutti, ma non da Bokuden, Questo lo irritò.
Perché porti una spada e non ti scagli contro questi cani, incapaci di combattere?
Dietro alla sua insistenza, Bokuden fu costretto a replicare:
Ho una spada, è vero. Ma la mia arte della scherma è diversa dalla tua. Io non mi curo di sconfiggere gli altri, ben di non essere sconfitto.
A quale scuola appartieni?
A nessuna. Io stesso sono il mio maestro. Considerami uno che combatte senza mani e senza spada.
Combattere senza mani e senza spada
Il samurai stentava a credere alle proprie orecchie.
Ma allora perché ne porti una?
Oh, la spada… Mi serve per combattere il mio egoismo, non per dare la morte.
Vuoi dire che saresti in grado di battermi senza spada?
Se la metti così…
In tal caso, ti sfido. Grido il samurai fuori di sé.
Posso farti una proposta?, disse Bokuden. Stiamo per attracccare, e non vorrei attirare gli sguardi dei curiosi sulla riva. Qualcuno potrebbe essere coinvolto suo malgrado. Preferirei che ci battessimo sull’isola più vicina, se non hai niente in contrario. È un luogo appartato, e nessuno ci disturberà.
Il samurai accetto la proposta ragionevole.
La tecnica di Bokuden per combattere senza combattere
L’imbarcazione si avvicinava all’isola. Nei pressi della riva il samurai si getto in acqua, invitando il maestro a seguirlo.
Bokuden, per tutta risposta, gli consegnò la spada.
Tienila tu. Nuoterò meglio senza questo fardello.
Poi, all’improvviso, strappò il timone dalle mani del barcaiolo, invertendo la rotta.
L’imbarcazione tornò in alto mare.
Il samurai era frastornato: tutto si svolse in una frazione di secondo. La prontezza di riflessi del suo avversario lo aveva sconcertato.
Dal ponte, Bokuden gridò:
La mia arte della non spada è questa!
Il trentaseiesimo stratagemma: la fuga
L’autore che riporta la storia, non a caso la inserisce nel capitolo dedicato all’ultimo dei 36 stratagemmi:
La fuga è la strategia migliore
Preservate le forze
per evitare di dare battaglia.
In certi casi non c’è nulla da biasimare,
né è mai in questione una sconfitta.
Benché sia sempre più comune (per fortuna) sentir parlare della fuga in questi termini, un tempo non era così semplice. L’idea associata all’orgoglio fine a sé stesso è difficile da distruggere, soprattutto per alcune persone/caratteri. Tuttavia, anche un esperto combattente dovrebbe sempre considerare la fuga come prima, seconda e anche terza scelta, lasciando il confronto vero e proprio solo alle situazioni senza reale via d’uscita. Il vantaggio della fuga è, come ci insegna Bokuden, la possibilità di preservare totalmente l’integrità di entrambi i contendenti. Cosa che, ovviamente, nel confronto diretto non è né possibile né prevedibile.
Le tre tipiche risoluzioni di un conflitto
Di fronte a un avversario, sia esso fisico o metaforico, normalmente ci troviamo di fronte tre modi per affrontare la situazione: il conflitto, il compromesso e la fuga.
Combattere: il conflitto
Sebbene l’addestramento e l’allenamento in un’arte marziale ci prepari al conflitto, come già accennato in questa sede e in altre, l’esito di un conflitto non sempre è prevedibile. Praticare un’arte marziale aumenta le probabilità di successo, ma non le porta mai alla certezza assoluta di vittoria. Inoltre, dove c’è un vincitore c’è uno sconfitto, con tutto ciò che questo comporta, anche quando non si parla di vita o morte. Un combattimento/confronto che si regge su un insieme di reazioni “involontarie”, porterà quasi certamente diverse conseguenze in termini di astio, rancore, sensi di colpa, ecc.
La sconfitta di entrambi: il compromesso
Benché spesso si esalti la soluzione del compromesso, non è in realtà quella da preferire. Dal momento che entrambi i contendenti rinunciano a qualcosa pur di terminare il conflitto, questa non è altro che una sconfitta per entrambi, piccola o grande che sia. Laborit evidenziava, nei suoi studi, come la soluzione del compromesso sia foriera di più o meno gravi somatizzazione che portano poi anche al manifestarsi di diverse tipologie di malattie [2]. Il compromesso va ponderato con attenzione, cercando sempre di valutare bene le conseguenze di ciò che cediamo “per un bene più grande”.
Combattere senza combattere: la fuga
Infine, la fuga è l’unica delle tre situazioni che non prevede nessuno sconfitto, dal momento che si evita direttamente il confronto. Abbiamo visto, anche dal racconto, che la fuga non è da intendersi come uno scappare a gambe levate, in preda alla paura, di fronte alle avversità. Anzi, è una vera e propria strategia consapevole, ragionata e presente, volta a evitare sul nascere situazioni di conflitto. Richiede uno studio meticoloso della situazione e una presenza di spirito non trascurabile. D’altronde Bokuden non si getta dalla barca in preda al panico, conduce invece con calma il suo avversario su un’isola, per poi lasciarlo lì. Indicativo anche che prima di abbandonarlo gli dia la sua spada, chiamandola fardello, che gli serviva “per combattere il suo egoismo, non per dare la morte”.
Elogio alla fuga
Avendolo citato, riportiamo un video che spiega brevemente gli studi di Laborit e i loro risvolti. È tratto dal film Mon oncle d’Amerique, da non confondere con l’italiano Il cugino americano.
Per approfondire
[1] L’arte della guerra e della strategia di Leonardo Vittorio Arena;
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