La paura della morte e la Via del Guerriero

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Un orologio e un teschio fusi insieme, e avvolti nella sabbia, copertina dell'articolo La paura della morte e la Via del Guerriero
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La paura della morte e la Via del Guerriero

La paura della morte è senza dubbio la paura più grande da sconfiggere e superare. La figura del guerriero, storicamente più di altre, ha dovuto fare i conti con questa paura. Da questo confronto più che millenario ha preso forma la saggezza della Via del Guerriero, con tutti i principi, spunti e insegnamenti a questa legati. Yukio Mishima, nei primi capitoli del suo libro dedicato all’Hagakure, evidenzia proprio alcuni di questi importanti insegnamenti, che ora vedremo insieme.

La paura della morte e i guerrieri

Il presupposto su cui si fonda lo Hagakure è l’esistenza della classe dei guerrieri. Quella del guerriero è un’occupazione di morte. Anche in tempo di pace, la morte è il principio che determina la condotta di un guerriero, e se un guerriero la teme o la evita, allora cessa di essere un samurai [1].

Come sottolinea più volte anche Mishima, il fatto che il guerriero si occupi di morte non significa che vada in giro a uccidere le altre persone. La morte di cui deve occuparsi chi percorre la Via del Guerriero è infatti principalmente la propria. Questa Via si caratterizza per la costante lotta tra la staticità che ci propone l’istinto di sopravvivenza (e quindi la paura della morte) e il movimento che propone invece il coraggio, la crescita e la nostra evoluzione. Per questo cedere alla paura della morte significa cessare di essere un samurai.

Paura della morte e istinto di sopravvivenza

La Grande Via non è nel quieto vivere [2].

Con questa sentenza lapidaria, Il segreto del fiore d’oro ci guida nella prossima riflessione. “La chiamata al Viaggio” porta qualsiasi eroe o eroina che si rispetti ad abbandonare la propria zona di comfort, la propria staticità, per intraprendere un’avventura che metterà a repentaglio la sua stessa vita. Il Viaggio dell’Eroe e la Via del Guerriero ci strappano dalla zona di comfort e contrastano fortemente ciò che l’istinto di sopravvivenza ci porterebbe a fare:

La morte rappresenta l’elemento su cui si fonda il principio dell’azione [1].

Questo lotta tra azione e staticità si riflette il più delle volte in un vero e proprio contrasto tra ciò che ci dice il cuore e ciò che ci dice la testa. Dove il cuore ci muove all’intervento, la testa, la razionalità, ci spinge all’immobilità.

Superare la paura della morte e il coraggio

Il coraggio è quasi una contraddizione di termini. Sta ad indicare un forte desiderio di vivere che prende la forma di una prontezza a morire.
Chesterton

Come abbiamo visto, “Più aumenta l’acqua, più in alto sale la barca”. Il cuore ci spinge alla ricerca di difficoltà da affrontare, ben consapevole dell’enorme tesoro che ci riserverà il riuscire a superarle. Vincere o superare la paura non significa quindi non avere più paura, bensì ascoltare il cuore. Un po’ come la scenetta a cui ci hanno spesso abituato i cartoni animati: abbiamo costantemente sulle spalle un angelo e un diavolo. Il primo ci spinge a muoverci in accordo con il cuore, il secondo ci spinge a fermarci per non mettere a rischio la nostra vita. Sta a noi decidere chi ascoltare. Un concetto simile è espresso bene da una storia Cherokee che gira in rete da tempo.

I due lupi

Un anziano Cherokee disse al nipote:
“Figlio mio la battaglia è fra due lupi che vivono dentro di noi.
Uno è il male, è la rabbia, la paura, la preoccupazione, la gelosia, l’invidia, il dispiacere, l’autocommiserazione, il rimpianto, il rancore, l’avidità, la falsità, il senso d’inferiorità.
L’altro è il bene, la gioia, l’amore, la pace, la speranza, la serenità, l’umiltà, la gentilezza, la benevolenza, l’empatia, la generosità, la verità, la compassione, la fiducia”.
Il piccolo ci pensò su un minuto e poi chiese: “Quale lupo vince?”
L’anziano Cherokee rispose semplicemente: “Quello a cui dai da mangiare”.

Immagine ritraente due lupi alle estremità di un lago che si fissano, sullo sfondo delle montagne innevate. Per l'articolo la paura della morte e la Via del Guerriero

Vincere la paura della morte e il suo tabù

La verità è che non ci piace pensare alla morte. Non ci piace estrapolare dalla morte quegli elementi validi che potrebbero tornarci utili. Cerchiamo sempre di puntare lo sguardo verso un obiettivo luminoso, positivo e vitale. E, per quanto possibile, ci sforziamo di non pensare mai alla forza che gradualmente erode le nostre vite. Tutto questo ci svela il processo attraverso il quale il nostro umanesimo razionale mentre da un lato ci induce a puntare lo sguardo solo verso il progresso di una libertà luminosa, dall’altro ci obbliga a rimuovere dalla superficie della nostra coscienza il problema della morte per relegarlo sempre più negli abissi oscuri del subconscio. […] Purtroppo non si tiene conto che per la salute mentale degli uomini è essenziale che la morte non venga rimossa dalla superficie della coscienza [1].

Il Tabù della morte

Purtroppo il discorso di Mishima è ancora attuale. La morte è ormai diventata un tabù e si cerca il più possibile di non pensarci e di tenerla lontana da noi, anche solo concettualmente. È vero che all’apparenza è “meno presente” nelle nostre vite, ciononostante è facile lasciarsi andare alla convinzione che la morte in realtà sia qualcosa che non ci riguarda, soprattutto in giovane età.

La morte esiste, è sempre uguale a se stessa e, oggi come ai tempi dello Hagakure, regola le vite delle persone. Da questo punto di vista, quella di cui ci parla lo Hagakure non ha nulla di speciale [1].

Ma a quale scopo dovremmo accogliere invece l’idea della morte, e tenerla ben stretta nel corso della nostra vita?

Superare la paura della morte accettandola

Accogliere e portare con sé l’idea della morte ha un’influenza estremamente positiva sul nostro modo di vivere:

In quest’opera, però, si sottolinea il fatto che condurre quotidianamente una riflessione sulla morte ci obbliga anche a riflettere ogni giorno sulla vita. È innegabile che se lavoriamo con la consapevolezza che oggi sarà il nostro ultimo giorno di vita, il lavoro da noi svolto inizierà d’un tratto a brillare [1].

Una sorta di parafrasi del più famoso “vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo”, o del “ricordati che devi morire”. La presenza della morte può aiutarci quindi a Vivere con coraggio invece di limitarci a sopravvivere. A tal proposito sono interessanti le parole dette da Guidalberto Bormolini durante una sua conferenza:

È importante chiedersi se si è vivi prima di morire.

La paura della morte come attaccamento alla vita

Solo chi rinnova il proposito di morire ogni mattina e ogni sera e vive come se fosse già morto troverà nella Via del guerriero la propria libertà e adempirà ai propri doveri senza mai sbagliare per il resto della vita [3].

La sopravvivenza di cui si è parlato è una forma di attaccamento alla vita che non fa altro che limitarci enormemente nelle scelte che facciamo di giorno in giorno. Ancora una volta, la vera libertà è priva di attaccamenti (ai risultati delle azioni, alla vita, alle cose materiali, ecc). Senza questi possiamo davvero fare scelte libere e per questo “esatte”, anche perché una scelta non libera non è una vera e propria scelta. La morte ci libera da uno di questi attaccamenti, probabilmente il più forte e per questo motivo, come visto all’inizio, la Via del Guerriero “è un’occupazione di morte”.

Per approfondire

[1] La via del guerriero, Yukio Mishima;

[2] Il segreto del fiore d’oro, Lü Dongbin;

Arti marziali e fatica;

Con quale obiettivo combattere?;

Barche vuote, bufere e alte maree.

Questo articolo è stato scritto senza utilizzare in nessun modo l’IA.

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