Arti Marziali e fatica

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Immagine di una chiocciola che con fatica cerca di superare una voragine. Copertina dell'articolo Arti Marziali e fatica
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Arti marziali e fatica

Chi ha praticato Arti Marziali almeno una volta nella vita sa perfettamente quanto siano indissolubilmente legate alla fatica. Un famoso detto afferma “Mangia amaro, resisti alla fatica” (chī kǔ nài láo, 吃苦耐劳). Mangiare amaro, in senso figurato ovviamente, è uno dei requisiti e degli obbiettivi che si pone chiunque voglia iniziare un percorso di vita legato all’Arte Marziale tradizionale cinese. Vedremo ora l’importanza di questo insegnamento fondamentale della pratica.

La fatica ai giorni nostri

Crescere, tanto per una persona quanto per una società, significa incrementare ciò che rende umano l’uomo. Non lo si impara da teorie astratte, ma affrontando la vita secondo orientamenti che aiutino ad accoglierne le sfide, ad accettarne i rischi, a gestirne ostacoli e difficoltà, a risollevarsi dalle cadute, a gioire apprezzando ciò che si ha anziché dolersi per ciò che non si ha, a costruire relazioni buone con gli altri, a sopportare le crisi e ad aiutare gli altri a sopportarle. [1]

Con queste parole Matteo Rampin, nel suo “Elogio della fatica”, mette in luce una delle caratteristiche principali della Via del Guerriero: affrontare la vita accogliendone sfide, rischi, difficoltà e cadute. L’allenamento della Arti Marziali tradizionali cinesi, sin dal primo allenamento, chiarisce al praticante che è un percorso lungo, lento e faticoso. Non ci sono scorciatoie. Basti pensare al significato del termine Gongfu.

L’abitudine alla fatica nelle Arti Marziali cinesi

Per molti occidentali il lavoro è sempre meno <>, il soddisfacimento delle pulsioni è sempre più a portata di mano, ogni forma di disagio è vista come una malattia da prevenire e da sconfiggere più rapidamente possibile, la sofferenza viene relegata lontano dagli occhi, la morte è un’entità irreale, perfino spettacolarizzata nei casi di cronaca. Di conseguenza non sappiamo più aspettare, sopportare, soffrire: non sappiamo faticare [1].

Il praticante di Arti Marziali fa ben presto i conti anche con disagio, sofferenza e attesa. I Maestri non lo nascondono: “Quando avrai fatto questa tecnica diecimila volte ti uscirà bene”, “Se pratichi con costanza, fra otto anni lo saprai fare bene!”. Queste sono alcune delle frasi che è comune sentir pronunciare da un maestro cinese. Altrettanto comuni sono il disagio, la delusione e la frustrazione che provano i principianti nel sentirsele dire. Il problema risiede solo nella perdita dell’abitudine alla fatica.

La visione della fatica delle Arti Marziali cinesi

Nella cultura cinese è accettato e assolutamente normale perseguire un risultato senza fretta e negli anni. Qui in occidente pigrizia e furbizia ci hanno purtroppo allontanato dalla retta via. Sono tante le storie di maestri che, posto un obbiettivo, hanno lavorato per ore, tutti i giorni, per anni, fino a perseguirlo. Non si parla mai di scorciatoie, ma solo di fatica e determinazione. Abbiamo visto come Cheng Tinghua non usasse sedie mentre realizzava degli occhiali, praticando le posizioni del wushu durante il lavoro. Abbiamo visto Feng Zhiqiang trasportare un masso da 200kg attorno al cortile di casa. La loro forte determinazione e la loro costanza hanno reso questi maestri capaci di svolgere esercizi che ci sembrano impossibili. La chiave risiede nel sollevare pian piano il nostro personale livello di fatica, benché la società ci accompagni in una direzione diametralmente opposta.

Immagine di un uomo al tramonto che spinge un masso con fatica verso una salita

Fuga dalla fatica, fuga dalla realtà

Eppure la vita è dura: lo è ancora, come lo è da sempre nella storia dell’umanità, e lo è anche per noi, che siamo nati e vissuti nella parte ricca del pianeta. Nonostante tutte le comodità, semplificazioni e facilitazioni, un <> rimane, fa parte della vita, che è qualcosa di fragile, instabile, precario, difficile da mantenere, che richiede uno sforzo ininterrotto. La fatica è ineliminabile, perché senza fatica non c’è vita: il riposo, dal punto di vista biologico, coincide con la morte. Sperare di potersi liberare di questo nocciolo duro è folle, e illudere i giovani che la fatica non esista – e se esiste è qualcosa da scansare o addirittura da disprezzare – è un errore, perché vivere è tanto più faticoso quanto più è forte l’illusione che la vita sia o dovrebbe essere comoda. Infatti, sono solo le privazioni a fortificare: più fatichiamo, più sappiamo sopportare le fatiche [1].

La Via del Guerriero e la fatica

Stante così le cose, non ci resta che riabituarci alla fatica. La Via del Guerriero vede la fatica, le sventure e i problemi della vita come occasioni di crescita, sfide da superare, opportunità di miglioramento. Non a caso una figura come Ercole ha dovuto affrontare dodici fatiche (a loro volta non a caso dodici) per tornare Eroe e vincitore. E non a caso si parla proprio di fatiche. Ogni fatica superata ci rende più forti, perché quindi fuggire ed evitarle in ogni modo, invece di vederle come vere e proprie benedizioni? L’allenamento, in tal senso, è un simbolo esaustivo: ciò che inizialmente è percepito come faticoso, ben presto diventa semplice e si deve necessariamente sollevare l’asticella. La battaglia è da combattere dentro di noi, contro pigrizia e comodità:

Questa battaglia si combatte dentro la mente, e il vero nemico è l’ego, che vorrebbe soluzioni facili e senza sforzo [1].

I nostri “trucchi” per evitare la fatica

Ci sono modi controproducenti di rapportarsi alla fatica: per esempio rimandarla, delegarla ad altri, scansarla evitando tutto ciò che appare faticoso, cercare espedienti o scorciatoie disoneste, inebetirsi di diversivi. Di fatto, scansare la fatica è la peggior fatica [1].

“Oggi sono troppo stanco”, “Oggi sto un po’ male”, “Oggi non ho tempo”, “Oggi ho troppo da fare”: frasi il cui senso reale è fin troppo spesso “Ma chi me lo fa fare? Meglio il divano!”. Siamo in grado di distinguere, dentro di noi, quando potremmo fare uno sforzo in più, e ci arrendiamo alla pigrizia, da quando invece davvero siamo stremati dalla giornata. Nel primo caso abbiamo perso un’occasione di crescita senza reale motivazione e lo sappiamo solo noi. È allenamento e pratica anche superare queste situazioni manifestando la volontà di faticare. La volontà e la volontà di faticare si allenano anche così, non solo con esercizi fisici.

Il valore della fatica

Nulla di ciò che ha valore è stato ottenuto senza fatica. A volte vale addirittura l’opposto: per aggiungere valore a qualcosa, è necessario renderne faticosa la conquista, e in questo senso la fatica stessa potrebbe avere un valore, ed essere un valore [1].

È facile avere esperienza della veridicità di queste parole. Siamo naturalmente predisposti a lasciar andare meno volentieri qualcosa che ci è costata tanta fatica. Questo perché inevitabilmente attribuiamo a questa cosa maggior valore. Le famose “impronte di fango dopo aver appena pulito il pavimento” sono un esempio semplice e diretto. Riconoscere questo valore alla fatica è sicuramente un primo passo per riprendere ad accettarla, accoglierla e tornare ad esserle amici.

Immagine di un ragazzo orientale all'angolo di un ring durante un combattimento

Le Arti Marziali come uscita dalla zona di comfort: premesse

Una vita comoda, facile e senza stress è contraria alla natura, alla biologia e all’essere umano: chi promette questo scenario è un bugiardo e non aiuta i singoli, le masse e le nazioni. Chi insegue la comodità e la via più facile rimane sconfitto e scontento. Chi cerca una vita senza problemi non sperimenta pienamente la vita [1].

Siamo abituati a fare ciò che abbiamo voglia di fare e non quello che c’è da fare. Questo è l’opposto dello spirito dell’atleta e del guerriero. Veniamo indotti ad aspirare alla comodità anziché alla
lotta orientata a vincere i nostri meccanismi e a far morire vecchie parti di noi divenute ormai zavorra [2].

Le Arti Marziali come uscita dalla zona di comfort

La Via del Guerriero, le Arti Marziali tradizionali cinesi ci tendono con entusiasmo una mano nella ricerca della fatica in una società che sempre più prova ad allontanarci da questa. Posizioni faticose, paura nel combattimento, difficoltà nell’eseguire una tecnica, difficoltà nel trovare la giusta morbidezza, nessuna scorciatoia, tanti anni per migliorare: non stupisce che un sistema di questo tipo non vada assolutamente di moda di questi tempi. Eppure, siamo fermamente convinti (anche se effettivamente siamo di parte) che ristabilire un rapporto con la fatica sia una delle chiavi per l’accesso a un mondo nuovo e migliore e che, pertanto, le Arti Marziali abbiano tanto da insegnare a tante persone, anche a chi pensa che non facciano al caso loro.

Benché abbia passato tutto quello che ho passato, non mi pento dei problemi che mi sono creato, perché mi hanno portato fin dove desideravo arrivare.

John Bunyan

Per approfondire

[1] Elogio della fatica, Matteo Rampin;

[2] Guerrieri Metropolitani, Salvatore Brizzi;

Feng Zhiqiang;

Cheng Tinghua;

Perché nelle Arti Marziali è importante il combattimento;

Il significato di Kungfu e Wushu.

Questo articolo è stato scritto senza utilizzare in nessun modo l’IA.

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